La casa coniugale e l’obbligo alla coabitazione
Quando si parla di separazione o di divorzio una delle domande più ricorrenti è a chi debba essere assegnata la casa coniugale, ovvero, la casa dove i coniugi hanno condotto la loro vita familiare durante il matrimonio.
Con il matrimonio i coniugi acquistano gli stessi diritti e doveri, invero, l’art. 143 del Codice Civile recita “Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri; Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione”
Tra gli obblighi coniugali si rinviene quello della coabitazione, ovvero, l’impegno dei coniugi a condividere la stessa casa e di provvedere congiuntamente alle spese per famiglia in base alle proprie capacità contributive e lavorative.
La violazione dei predetti obblighi familiari può portare al riconoscimento in capo a ciascuno dei coniugi di responsabilità di tipo civile e nei casi più gravi anche penale, ad esempio, per il reato di cui all’art. 570 c.p. secondo cui, “Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale, alla tutela legale o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da centotre euro a mille trentadue euro”.
Con la separazione o con il divorzio gli obblighi coniugali vengono meno, e pertanto, anche l’obbligo alla coabitazione, eccezion fatta per il dovere di assistenza patrimoniale nei confronti del coniuge che non abbia mezzi adeguati per il proprio sostentamento, in questo caso, il giudice potrà riconoscere l’obbligo di corrispondere un assegno di mantenimento / divorzile.
I criteri usati dal giudice per l’assegnazione della casa coniugale
In sede di separazione o divorzio il giudice stabilisce a quale dei coniugi debba essere assegnata la casa coniugale, ovvero, a quale coniuge attribuire il diritto di rimanere presso l’abitazione destinata a residenza familiare.
A tal fine il giudice deve adottare il criterio individuato dall’art. 337 sexies del Codice Civile, il quale prevede che “Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà”
Ebbene, il criterio con il quale il giudice assegna la casa familiare è quello dell’interesse dei figli, infatti lo scopo della norma è quello di preservare l’habitat familiare, ossia l’ambiente familiare dove i figli sono cresciuti, e di non apportare maggiori traumi oltre a quelli che potrebbero conseguire da una separazione o un divorzio.
Salvo eccezioni, resterà nella casa coniugale il coniuge al quale verranno assegnati i figli in sede di separazione o divorzio, ovvero con il quale i figli convivranno.
Pertanto, anche nel caso in cui la casa coniugale sia di proprietà del coniuge non assegnatario dei figli la stessa potrà essere assegnata al coniuge assegnatario al quale verrà riconosciuto anche il diritto di uso e di abitazione ai sensi degli art. 1021 e 1022 del Codice Civile fino a quando i figli non saranno diventati economicamente autosufficienti e/o in caso di trasferimento definitivo della loro residenza.
Sul punto anche la Suprema corte di Cassazione ha chiarito che Il godimento della casa familiare a seguito della separazione dei genitori, anche se non uniti in matrimonio, ai sensi dell’art. 337 sexies c.c. è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli, occorrendo soddisfare l’esigenza di assicurare loro la conservazione dell’ “habitat domestico”, da intendersi come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare, e la casa può perciò essere assegnata al genitore, collocatario del minore (…) (Cassazione civile, Sez. VI, ordinanza n. 32231 del 13 dicembre 2018)
Per di più, il provvedimento di assegnazione della casa coniugale in sede di divorzio, come desumibile dall’art. 6, comma 6, della legge n. 898 del 1970 – analogamente a quanto previsto, in materia di separazione, dagli artt. 155 e, poi, 155 quater c.c, è subordinato alla presenza di figli, minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti, conviventi con i genitori. (Cassazione civile, Sez. VI, ordinanza n. 3015 del 7 febbraio 2018)
Preme ricordare che, non tutte le coppie che hanno dei figli decidono di unirsi in matrimonio, invero, sono sempre più frequenti le così dette coppie di fatto, ovvero due persone maggiorenni unite in modo stabile da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile (L. 76/2016)
In tale caso valgono le stesse considerazioni fatte per le coppie sposate, e pertanto, la casa coniugale verrà sempre assegnata tenendo conto l’interesse primario della prole.
Se la casa non è di proprietà dei coniugi?
Spesso succede che i genitori concedano il godimento di una casa di loro proprietà al figlio sposato o al figlio che sta per sposarsi al fine di destinarla a residenza familiare, in tale caso si configura un contratto di comodato, il quale viene regolato dagli articoli 1803 e seguenti del Codice Civile.
Nel contratto di comodato una parte (comodante) consegna all’altra (comodatario) un bene, affinché se ne serva per un tempo ed un uso determinato, con l’obbligo di restituire la cosa ricevuta.
Il contratto di comodato è essenzialmente gratuito, pertanto, non è previsto il pagamento di alcun corrispettivo.
Il comodatario, ovvero colui che riceve in godimento il bene, è tenuto a conservare il bene con la diligenza e tutte le accortezze del buon padre di famiglia. Il contratto di comodato può essere a termine oppure a tempo indeterminato in base alla volontà delle parti.
Quanto alla restituzione del bene l’art. 1809 prevede che: Il comodatario è obbligato a restituire la cosa alla scadenza del termine convenuto o, in mancanza di termine, quando se ne è servito in conformità del contratto.
Se però, durante il termine convenuto o prima che il comodatario abbia cessato di servirsi della cosa, sopravviene un urgente e impreveduto bisogno al comodante, questi può esigerne la restituzione immediata.
La giurisprudenza ritiene che il contratto di comodato con ad oggetto un immobile destinato a casa familiare rientri nella fattispecie del comodato a termine, anche nel caso in cui le parti non abbiano espressamente indicato una “scadenza”.
L’inquadramento della fattispecie nell’ambito del comodato a termine (anziché in quello precario) comporta che il proprietario dell’immobile, come ad esempio il genitore, non possa chiedere la restituzione immediata della casa, salvo nel caso in cui sopravvenga un improvviso ed urgente bisogno.
Infatti, secondo la Cassazione, anche se le parti non indicano espressamente un temine, deve ritenersi che sussista un termine implicito che risiede nel fatto che la casa sia stata destinata al soddisfacimento delle esigenze familiari, come nell’esempio richiamato alla vita coniugale dei figli, determina un vincolo di destinazione che conferisce all’immobile un termine implicito.